LA (RARA) Stygiomedusa gigantea
Il presente articolo è tratto dal Blog l'Orologiaio Miope, curato da Lisa.Ci sono animali poco conosciuti perchè sono rarissimi, e ci sono animali poco conosciuti perchè vivono in luoghi per noi inacessibili. Poi esistono animali rari e che vivono in luoghi inaccessibili. A quest’ultima categoria appartiene una specie di medusa gigante, la Stygiomedusa gigantea. In 110 anni di osservazioni (1899-2009) sono stati avvistati solo 118 individui in 110 osservazioni diverse in tutto il mondo, dato che è una specie distribuita in tutti gli oceani eccetto l’Artide.
Il primo avvistamento risale al 1901 in Antartide. Borchgrevink riporta la cattura di una 'grande medusa' del peso di '90 libbre' (circa 45 kg), con 'braccia o estremità lunghe circa 11 metri'. Gli ultimi avvistamenti sono avvenuti invece nel Golfo del Messico grazie ad un ROV (Remotely Operated Vehicle) nell’ambito del programma SERPENT della Luoisiana State University, in cui ben quattro individui sono stati filmati nel loro ambiente nel corso di un quadriennio (2005-2009).
Come mai questi animali sono così 'inavvistabili' che se ne vede in media uno all’anno? Tutto sommato le meduse giganti non sono poi una rarità: le coste del Giappone sono letteralmente infestate da una medusa gigante, Nemopilema nomurai, o 'Nomura' che sta distruggendo gli ecosistemi costieri, e la medusa gigante più grande del mondo, la Cyanea capillata o medusa criniera di leone, nonostante viva nei mari freddi dell’Artico e del nord Pacifico e Atlantico, è ben conosciuta. La differenza consiste nel fatto che mentre queste due ultime specie di medusa vivono in acque superficiali, la nostra Stygiomedusa preferisce invece le zone meso- o batipelagiche, cioè intorno agli 800 m o sotto i 2000 circa, rendendo impossibile tanto vederla quanto pescarla (di solito arriva in superficie esplosa per la decompressione, se la si pesca). L’unico modo per vederla è quindi usare un ROV ma anche così questi animali non sembrano essere particolarmente diffusi. Non sorprendente, se si pensa che vive in acque buie, fredde e con pochi nutrienti e dove quindi la densità di animali e’ piuttosto scarsa.
Si è già discusso altrove di questi ambienti abissali, inospitali e misteriosi. Le meduse tuttavia sono in circolazione da almeno 650 milioni di anni, sono uno dei gruppi di esseri viventi più antichi esistenti: hanno avuto quindi tutto il tempo di adattarsi e di occupare tutte le nicchie disponibili. Sebbene la Stygiomedusa, come tutte le meduse, non abbia un cervello, l’evoluzione ha 'ragionato' in sua vece (niente di finalistico in questa frase, eh, è solo una figura retorica, sia ben chiaro!). Burd & Thomson hanno trovato infatti che per trovare cibo questi animali si accalcano (si fa per dire, come accalcarsi in quattro gatti in piazza Tien-an-Men) intorno alle fumarole nere sottomarine, dove la quantità di zooplankton è maggiore e quindi c’è più disponibilità di cibo per un predatore così grosso. I due autori ipotizzano addirittura interi 'sciami' di queste rare meduse, poiché le loro reti da campionamento erano sempre ricoperte di gelatina di Stygiomedusa gigantea esplosa mentre le si tirava su, ma sospetto che queste siano solo assunzioni.
Cosa mangino esattamente le Stygiomeduse è difficile a dirsi con precisione, data la mancanza di osservazioni, ma si può facilmente provare ad indovinare: lo zooplankton che vive intorno alle fumarole verso i mille metri di profondità è costituito da copepodi, chetognati, gamberetti e pesci (l’inclusione dei pesci tra lo zooplankton è di Burd & Thomson, io dissento), e questa è di solito la dieta media delle meduse carnivore, quindi è presumibile che le Stygiomeduse non facciano eccezione.
E sino a qui tutto normale, le nostre misteriose meduse sembrano comportarsi come molte altre meduse di profondità. Le bizzarrie le riscontriamo andando però ad esaminare l’anatomia di questi animali. Innanzi tutto, le Stygiomeduse hanno rinunciato a parte dei loro tentacoli, quelli marginali al bordo dell’ombrello, per cui sembrano piu’ 'magroline' della medusa media. I tentacoli marginali sono di solito quelli urticanti ed in effetti queste meduse non urticano. Sotto l’ ombrella, che puo’ arrivare a 140 cm di diametro, sporgono di solito solo quattro tentacoli buccali, appiattiti, lunghi sino ad una decina di metri, sottili, canalicolati al centro e tremendamente appiccicosi. Le riprese del ROV hanno colto le meduse mentre si avvinghiavano coi tentacoli intorno a strutture sottomarine fisse, appiccicandosi tipo 'carta moschicida'. Probabilmente quindi avviluppano le prede con i tentacoli e le tengono ferme con gli ampi lobi orali mentre le divorano. Il tutto senza bisogno di immobilizzarle con le tossine contenute nelle le cellule urticanti delle meduse comuni (qui si parla di queste tossine), appiccicandole ed 'ingolfandole' con un meccanismo degno di un buon film di fanta-horror (mi vedo gia’ il titolo: 'Orrore dagli abissi: Il mistero della Stygiomedusa antropofaga'). In un posto dove il cibo scarseggia fare economia di scala e risparmiare i costi metabolici della produzione di tossine sicuramente aiuta.
Le Stygiomeduse sono di color rosso molto scuro o bruno-marrone a causa della presenza del pigmento porfirina, caratteristica questa in comune a diversi altri animali abissali tipo il Vampyrotheutis infernalis. Gli animali che vivono in superficie usano la porfirina per produrre il gruppo eme del sangue o un paio di enzimi della catena respiratoria ma non possono usarla per colorarsi la pelle perchè la porfirina è fotosensibile e alla luce del sole si degrada producendo gravi lesioni cutanee e disturbi nervosi e gastrici anche molto gravi (persone col gene della porfirina sbagliato soffrono infatti di una malattia chiamata porfiria, che pare sia alla base delle leggende di vampiri e licantropi). Gli animali terrestri devono quindi produrre porfirina in quantità limitatissime. La domanda che mi pongo è: perchè mai una medusa o un altro animale abissale dovrebbe spendere preziosa energia metabolica per produrre un pigmento cutaneo che nessuno può vedere? Alle profondità a cui questi animali vivono la luce del sole sicuramente non arriva. Ok che non è dannosa perchè non c’è luce solare, ma che se ne fanno? La letteratura scientifica non aiuta, per cui, dopo una domenica pomeriggio di brain squeezing a spese di un paio di persone che hanno dovuto ascoltare le mie farneticazioni, sono giunta ad un paio di spiegazioni, di cui secondo me una sola plausibile. Una prima spiegazione, molto elegante, era la seguente: la porfirina è una molecola fotosensibile che si degrada facilmente alla luce; nelle profondità abissali quasi tutti gli animali sono in grado di emettere bioluminescenza; potrebbe l’esposizione alla bioluminescenza di una preda o di un predatore degradare la porfirina in modo da mandare un segnale di allarme alla medusa? Come avere occhi su tutto il corpo. La risposta, purtroppo, sembrerebbe essere: no. La lunghezza d’onda di emissione della luce da bioluminescenza ha un picco a 475 nm. La porfirina invece si degrada nel visibile alle lunghezze d’onda tra 400 e 420 nm (nel blu) e poi tra 530 e 595 nm (nel giallo-verde), quindi la luce verde-blu emessa dagli organismi bioluminescenti non provoca alterazioni della porfirina. Peccato. La seconda ipotesi coinvolgerebbe invece un meccanismo di mimetismo. Se la porfirina non assorbe a 475 nm vuol dire che riflette quella lunghezza d’onda, che sembra sia ottimale per confondersi con lo sfondo della cosiddetta 'twilight zone', la zona mesopelagica tra i 500 e i 1000 m di profondità che evidentemente del tutto buia non è. In pratica, sarebbe un semplice meccanismo di mimetismo per evitare di essere visti dai predatori, soprattutto pesci nel caso delle meduse. Qui una discussione del problema dal punto di vista dei pesci. Un’ultima ipotesi è che anche Stygiomedusa e gli altri organismi colorati dalla porfirina sono bioluminescenti e l’emissione contro uno sfondo di quel particolare colore potrebbe conferire dei vantaggi.
Non si sa niente sui meccanismi etologici di riproduzione di queste meduse ma, forse, si riproducono sessualmente. L’anatomia però rileva, ancora una volta, qualcosa di insolito. Le quattro gonadi sono contenute in tasche dello stomaco, caratteristica in comune con altre meduse, e l’embrione si sviluppa sulla superficie esterna di queste tasche in una cisti che è probabilmente la vestigia della fase di polipo. Il ciclo vitale degli Scifozoi, la classe a cui queste meduse appartengono, prevede infatti tre fasi: la medusa adulta produce sessualmente un polipo, detto scifistoma, che si fissa ad un substrato. I polipi gemmano e producono per riproduzione asessuata delle giovani meduse (efire) libere di nuotare.
Nel caso delle Stygiomeduse la fase di polipo non esiste più, e la giovane medusa si sviluppa nella pancia di mamma, in queste cisti in prossimità delle ovaie che sono quello di più vicino che una medusa può concepire come utero. La baby-medusa viene nutrita grazie a un cordone ombelicale che va dalla cisti al sistema gastrovascolare della medusa e quindi quando è sufficientemente cresciuta viene 'partorita' in modo viviparo. Chi l’avrebbe mai detto che le meduse avessero siffatte cure parentali, e che potessero partorire vivi i loro 'cuccioli'? Un’ultima particolarità di queste meduse: vivono in associazione con un pesce di profondità, Thalassobathia pelagica, un pesce tutto blu avvolto da un’ombrella tutta viola. La famiglia a cui questo pesce appartiene è nota per vivere in associazione con altre meduse giganti, e questo dovrebbe escludere predazione e parassitismo. Se poi si tratta di simbiosi o di commensalismo rimane tutto da stabilire.
Se volete vedere la 'strana coppia' in azione qui c’è uno dei filmati del ROV.
E con questo è tutto. Un post incredibilmente lungo per un animale di cui non si sa nulla. Sono diventata veramente prolissa.
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BIBLIOGRAFIA
- Benfield, Mark C., and William M. Graham. In situ observations of Stygiomedusa gigantea in the Gulf of Mexico with a review of its global distribution and habitat. Journal of the Marine Biological Association of the United Kingdom 90, no. 06 (September 2010): 1079-1093.
- Burd, Brenda J., Richard E. Thomson. Distribution and relative importance of jellyfish in a region of hydrothermal venting. Deep Sea Research Part I: Oceanographic Research Papers 47, no. 9 (2000): 1703-1721.
- Drazen, Jeffrey C., and Bruce H. Robison. Direct observations of the association between a deep-sea fish and a giant scyphomedusa. Marine and Freshwater Behaviour and Physiology 37, no. 3 (September 2004): 209-214.
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